ASSOCIAZIONE NAZIONALE VITTIME DELLE "MAROCCHINATE"
L’Associazione Nazionale Vittime delle “marocchinate” nasce nel 2007 per volontà di Emiliano Ciotti,che con determinazione cerca di far conoscere alle nuove, e alle vecchie generazioni, una tragedia immane. Il dolore e le umiliazione patite dalle popolazioni Italiana e dai prigionieri italiani in Africa Settentrionale, le barbarie dell’esercito francese rimaste nel cassetto per troppo tempo. Una pagina vergognosa a lungo nascosta, perpetrata da coloro che arrivarono sotto la bandiera dei “liberatori”.
L’Associazione è autonoma dal Governo e dai partiti politici. L’adesione è libera a tutte le persone che condividono i principi e intendono perseguire gli scopi indicati nello Statuto. Il lavoro svolto dai soci, a qualsiasi livello, è interamente a carattere volontario e autofinanziato.
"MAROCCHINATE"
“Marocchinate”: con questo termine si sono tramandati gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana, dei prigionieri di guerra e perfino di alcuni partigiani comunisti.
Nel 1942, gli americani sbarcano ad Algeri e le truppe coloniali francesi del Nord Africa, fino ad allora agli ordini della repubblica filonazista di Vichy, si arrendono senza sparare un colpo. Il Generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi e capo del governo francese in esilio nella cosi detta “Francia libera”, allora, attinge a questo personale militare per creare il Cef: Corp Expeditionnaire Français, costituito per il 60% da marocchini, algerini, tunisini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini ripartiti in quattro divisioni.
Vi erano però dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di corda.
Erano equipaggiati non solo con le armi alleate (mitra Thompson cal. 45 mm e mitragliatrice Browning 12.7 mm) ma anche con il tipico pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese). Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in Algeria che, da collaborazionista della repubblica di Vicky, era passato alle dipendenze di De Gaulle. Gli stupri delle truppe marocchine cominciano già nel luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli 890 magrebini del 4° tabor aggregato agli americani che sbarcano a Licata, compiono saccheggi e violentano donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino Troina. I siciliani reagirono uccidendone alcuni con doppiette e forconi.
Come noto, gli Alleati, risalendo l’Italia senza troppe difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu il generale Juin, sin dall’inizio, a proporre ai colleghi statunitensi Clark e Alexander l’aggiramento del caposaldo nemico. Dopo tre battaglie sanguinosissime e prive di risultato gli Alleati avallarono la proposta di Juin il quale aveva scoperto che il monte Petrella, a est di Cassino, era stato lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela.
Infatti, con l’operazione “Diadem” (l’ultimo assalto collettivo degli Alleati) i goumiers riuscirono a sfondare la Linea Gustav e, attraversando l’altipiano di Polleca, si lanciarono verso Pontecorvo. Kesselring, comandante tedesco in Italia, per tamponare lo falla, inviò i suoi Panzegrenadieren insieme a reparti italiani della Rsi, (Gnr di Frosinone) i quali, dopo accaniti combattimenti, dovettero soccombere. E’ accertato che gli ultimi soldati tedeschi rimasti a Esperia si suicidarono gettandosi da un burrone per non finire decapitati come altri loro commilitoni catturati. Questo avveniva mentre i marocchini cominciavano a violentare moltitudini di donne, uomini e bambini sull’altopiano di Polleca. Alla ritirata dei nazifascisti, vari paesi della Ciociaria vennero occupati dai franco-coloniali del Cef.
Questo fu l’inizio di un assurdo calvario. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera, morirà qualche giorno dopo per le lacerazioni interne riportate. Il 20 maggio 1944 a Vallecorsa (Frosinone) il parroco Enrico Jannoni, missionario dell’ordine religioso dei Redentoristi fu fucilato dalle truppe marocchine, tentò di difendere alcune donne che stavano per essere violentate.
A Pico, una ragazza venne crocifissa con la sorella, tra le centinaia di donne stuprate fu violentata una bambina di anni 5. A Cassino fu bruciata viva una donna dopo averla stuprata. A Polleca si erano rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e bambini in un campo provvisorio. I reparti marocchini del Gen. Guillaume stuprarono bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. Da alcuni documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono alle violenze. Anche gli americani sapevano di questi fatti: solo in un paio di casi tentarono debolmente di frenare i goumiers. Un fenomeno di queste dimensioni che si è protratto per oltre 24 mesi, in mezza Italia, che ha interessato un numero elevatissimo di persone, non poteva essere sottaciuto o nascosto ai comandanti. Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Vittime delle Marocchinate, fornisce i numeri di questo massacro: “Nella seduta notturna della Camera del 7 aprile 1952 la deputata del PCI Maria Maddalena Rossi denunciò che solo nella provincia di Frosinone vi erano state 60.000 violenze da parte delle truppe del generale Juin.
Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di violenze, numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte medicare, sia per vergogna o per pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, ognuna, quasi sempre da più uomini. I soldati magrebini, ad esempio, mediamente violentavano in gruppi da due o tre, ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e 300 uomini. Oltre alle violenze carnali, vi furono decine di migliaia di richieste per risarcimenti a danni materiali: furti, incendi, saccheggi e distruzioni.
Un documento, conservato all’Archivio di Stato, offre, adesso, un tentativo di spiegazione per quegli stupri di massa: “maltrattamento di popolazione civile” è il titolo del memorandum, nel quale il comandante delle truppe coloniali francesi, Alphonse Juin, raccoglie tutte le segnalazioni di violenze subite dalle popolazioni locali (“Che si lamentano amaramente presso Autorità alleate”) in quei terribili giorni. Juin minimizza (“Vi è certamente la possibilità di esagerare i fatti”) ma è anche preoccupato per il buon nome dell’esercito francese, dal rischio, cioè, di “discreditare un esercito che è composto in massima parte di truppe coloniali”. Un rischio che deve essere evitato. Scrive: “Comunque forti possano essere i nostri sentimenti nei confronti di una Nazione che odiosamente tradì la Francia noi dobbiamo mantenere un’attitudine dignitosa. L’esercito francese si è guadagnato sul campo di battaglia italiano la considerazione di tutti”. Quel riferimento alla Nazione (l’Italia) che “odiosamente tradì la Francia” (il riferimento è all’attacco di Mussolini, nel giugno del 1940, quando la Francia era già stata praticamente messa in ginocchio dai tedeschi).